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  • Writer's pictureCamilla Maccaferri

Post-apocalittici e post-integrati


Nel noto saggio del 1964 Apocalittici e integrati Umberto Eco, ben prima che si dovesse cimentare con le legioni di imbecilli da social, divideva gli intellettuali tra i critici verso la cultura di massa (gli apocalittici, appunto) e quelli che invece ci si trovavano tutto sommato benino (gli integrati).

Oggi, dopo due anni di pandemia, dopo ventiquattro mesi di ansia, numeri, conta dei morti, mascherine, tamponi e contagi, siamo in guerra.

E ancora una volta il mondo si divide, tra i post-apocalittici e i post-integrati.


Tra i primi rientrano senza dubbio alcuno quelli come la sottoscritta, che si svegliano con il podcast di Francesco Costa nelle orecchie e fanno colazione con Pan di Stelle e ansia, non sapendo se tormentarsi di più per il numero di bombe cadute o per il flow-chart geopolitico che diventa ogni giorno più indecifrabile. Noi post-apocalittici abbiamo paura dell’atomica, soffriamo per i morti, vogliamo donare, ospitare, impacchettare, teniamo costantemente una finestra aperta sulle notizie in diretta e, soprattutto, ci sentiamo in colpa. Ci sembra sbagliato lavorare, mangiare, vivere mentre a pochi chilometri da noi c’è la guerra: come polli senza testa, corriamo in circolo nella nostra bolla di ansia perenne, avviluppati in un senso di impotenza che sembra una cortina di piombo, smaniamo per renderci utili e non sappiamo come, non dormiamo, ci svegliamo con la tachicardia. Leggiamo ossessivamente, ci informiamo in maniera compulsiva, andiamo a cercare i precedenti storici e ci sentiamo terribilmente urtati da chi ci parla d’altro, si preoccupa d’altro: cosa vuoi che me ne freghi se ti è arrivata una multa, ma ti rendi conto che c’è la guerra? Che la gente scappa dalle bombe? Che dovrei essere in Polonia ad aiutare, invece che restare qui incollata alla mia vita inutile?

Noi post-apocalittici siamo depressi e ansiosi, perennemente di cattivo umore, preoccupati, irritabili. Una pessima compagnia.


Dall’altra parte, ci sono i post-integrati. Quelli degli arcobaleni e dell’andrà tutto bene. I post-integrati non hanno voglia di deprimersi per una guerra che, almeno al momento, non li tocca in prima persona. Certo, sono tristi, dispiace per i morti, anche loro portano pacchi e fanno offerte, ma poi la vita continua, è quasi primavera, dobbiamo pensare alle ferie, ai matrimoni da recuperare, ai concerti che ritornano. Sì, la guerra è brutta, speriamo che si risolva presto, ma ce la faremo tutti uniti e poi in fondo si è sempre risolta in qualche modo, no? Non abbiamo mai visto una bomba cadere dopo il ‘45 (e non andiamo a impelagarci con discorsi tipo Ustica, per carità). I post-integrati, con il loro incrollabile ottimismo, stanno molto sul cazzo ai post-apocalittici che, sostanzialmente, invidiano loro di saper vivere meglio. A loro volta, i post-integrati non li sopportano tanto perché sono dei pesantoni che insistono a ricordare loro che nella vita si deve soffrire, e invece no, loro vogliono (e sanno) goderne.

Ai post-integrati non interessa neanche tantissimo capire cosa sta succedendo, non è che cambi granché: tanto le bombe ammazzano sempre qualcuno di innocente e i profughi in fuga vanno aiutati, l’obiettivo deve essere la pace, poi come ci si arriva sarà un problema di chi se ne occupa per lavoro.


I post-integrati riescono a concentrarsi sulla loro morning routine, sul loro benessere quotidiano e a inscatolare i pensieri ansiogeni: abbiamo tutto, si dicono, dobbiamo essere felici e sentirci fortunati rispetto a quei poveretti che scappano da queste atrocità.

Ai post-apocalittici rode da morire sapere che i post-integrati meditano e si godono il loro infuso al Rooibos al tramonto senza sentirsi minimamente in colpa, mentre loro continuano a refreshare come pazzi la pagina del Post con il LiveBlog sulla guerra e bucano le consegne di lavoro perché hanno la testa altrove.

Tra post-apocalittici e post-integrati non ci sarà mai un dialogo, ma solo un cordiale scontro: i primi, a dirla tutta, pensano che gli altri siano un po’ stronzi ed egoisti, mentre si strappano i capelli a ciocche e si mordono le unghie invidiandoli. Gli altri pensano invece che i post-apocalittici siano persone tossiche, eternamente infelici, da cui tenersi lontani e anche un po’ imbecilli, visto che tanto con la loro ansia non salveranno nessuno.


Post-apocalittici e post-integrati, comunque sia, non sono altro che due facce opposte e complementari della stessa medaglia di massa, che può permettersi di perdere tempo a speculare, decidere se sia più cattivo Putin o più imperialista la NATO e cercare di sentirsi meno inutile donando soldi o facendo cose, mentre indulgiamo nella critica popolare della guerra di un popolo altro.

Piccoli, inutili Übermensch da social come siamo, andiamo avanti a colpi di analisi e hashtag nelle nostre irrilevanti storie, mentre la gente combatte e muore e noi, post-apocalittici o post-integrati che siamo, non possiamo farci niente.


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1 comentário


Claudia Pavan
Claudia Pavan
05 de mar. de 2022

Analisi perfetta.

Io da un po' di tempo ormai mi sento solo post: post - qualsiasi cosa.

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